29 gennaio - POSITIVA AL CERA VANIA ROSSI, LA COMPAGNA DI RICCARDO RICCO'



Riportiamo l'articolo pubblicato dagli organi di informazione sportiva:

ROMA - Positivo lui (al Tour del 2008), positiva lei, la compagna della vita che solo otto mesi fa ha dato alla luce il filglioletto Alberto. E' proprio il caso di dire che la madre degli imbecilli è sempre incinta. Dopo Riccardo Riccò anche Vania Rossi, la sua donna,  è finita nella rete antidoping. La notizia è stata diffusa dal Coni che ha fatto sapere, in una nota, che l'azzurra del ciclocross e' risultata positiva al Cera dopo il controllo effettuato il 10 gennaio a Segrate, in occasione del campionato italiano di ciclocross. In attesa delle eventuali controanalisi l'atleta è stata immediatamente sospesa dal TNA. E sul web si sono scatenati i commenti più sarcastici: dal "vizio di famiglia" al ricorso ad "una boraccia del marito, avanzata dal Tour 2008", all'inutilità di dare una seconda chance agli atleti che arrivano ai vertici dello sport con vizi ormai incalliti. Proprio recentemente Riccardo, il compagno aveva testimoniato in una intervista a "Repubblica" la volontà di rientrare nel mondo del ciclismo per dimostrare "che posso tornare protagonista anche senza doping". Ora, ecco la doccia fredda, che in qualche modo ricade indirettamente anche su di lui. Probabilmente la signora Vania avrà fatto tutto all'oscuro del compagno. Ed è impossibile, ovviamente dimostrare il contrario. Ma ciò che colpisce è come l'ambiente attorno a questi atleti non sia cambiato di una virgola, se alla fine non si riesce a rinunciare a certe inveterate abitudini. Ovviamente occorre attendere le controanalisi, se verranno richieste dall'ex azzurra. Ma difficilmente si approderà ad un risultato diverso. Infatti i test di verifica vengono fatti a garanzia dell'atleta, ripetendo sul campione B le stesse procedure che hanno portato alla positività del campione A, ma questa volta anche alla presenza di tecnici e periti nominati dall'atleta. Vania ora rischia due anni di stop. Ma sopratutto trascina ancora una volta anche il compagno in una situazione difficile. Resta davvero incomprensibile come una donna, addirittura una mamma che ancora allatta un neonato, possa far ricorso a certe pratiche. Non c'era alcuna necessità oggettiva, nessuna spinta o "molla" sportiva particolare se non la vana ambizione di primeggiare. Oltretutto il ciclocross da sempre è disciplina povera, che non offre orizzonti particolarmente allettanti ai suoi praticanti, anche quando riescono ad emergere.
Vania Rossi nega di essersi mai dopata. "Cado dalle nuvole - spiega sul sito della "Gazzetta dello sport" -  sono assolutamente estranea all'accusa che mi è stata rivolta. Non ho mai preso sostanze proibite e non l'ho fatto neppure ora visto che sono mamma da luglio e allatto il mio bambino". "Chi mi conosce - commenta -, chi conosce la mia storia, sa benissimo che tutto questo è assolutamente assurdo. Non metterei mai a rischio la salute del mio bimbo per una gara ciclistica. Quella domenica, mentre attendevo di fare il controllo, ho allattato mio figlio, se avessi preso il Cera o qualsiasi altra cosa, sarei da mettere in galera. Cosa è successo? Questo non lo so - conclude -, ma ci sono troppe cose che non tornano".
Resta una realtà di fondo: bisogna risalire alle basi di questo tormentato sport per capire meglio abitudini e comportamenti. C'è, nell'ambiente del ciclismo, l'idea diffusa che "senza l'aiutino", piccolo o grande che sia, non si possa andare avanti. Ci sono da scontare strategie assurde, favorite dai dirigenti societari senza scrupoli, a caccia di risultati a tutti i costi. Per assurdo che sia ci sono formazioni juniores più professionistiche dei professionisti di primo livello che girano addirittura più soldi; che copiano nel bene e sopratutto nel male le cattive abitudini del ciclismo maggiore. Situazioni che tutti conoscono e di fronte alle quali non c'è la minima reazione da parte dei dirigenti federali. Bisognerebbe intervenire su questa forma di professionismo giovanile che è la madre di tutte le storture. Per cui - ad esempio - si tiene "sotto cura" un atleta per lunghi periodi al solo scopo di dimostrare, dopo un certo lasso di tempo, magari  confortati da compiacenti test ematici, che l'atleta in questione  "ha valori ematici naturalmente elevati". E' successo non più tardi dell'estate scorsa nel ciclismo nostrano e anche in questo caso si trattava di un giovanissimo atleta. Dalla Fci non arrivano i segnali giusti se, come nel caso di Eugenio Bani, denunciato dal nostro giornale, alla fine l'unico ad essere sanzionato è l'atleta. Mentre dirigenti che procedono a cure massicce, sia pure lecite, abituando i corridori all'idea che "senza" un aiuto qualsiasi non si può andare avanti nello sport, la fanno franca.

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